L’edificio è ricco di stucchi, tappezzerie d’epoca, arredi originali e opere d’arte, tra le quali spiccano sette grandi tele dipinte da Gasparantonio Baroni Cavalcabò (1682-1759) con la collaborazione del cugino Giovanni e quattro splendidi dipinti parietali realizzati da Giovanni di Dio Galvagni (1763-1819). I pregevoli stucchi e cicli pittorici, che si trovano all’interno del palazzo, testimoniano l’amore per l’arte e l’elevato livello culturale della committenza, elementi chiave di un periodo storico contraddistinto a Rovereto da una grande vivacità intellettuale e floridità economica.

Dal punto di vista edilizio e architettonico, il compendio immobiliare si sviluppa su una superficie complessiva di circa 4.000 mq. Il nucleo più antico, a pianta rettangolare di 4 piani, racchiude al suo interno tutti gli ambienti di rappresentanza su circa 2.000 mq. Il complesso architettonico è completato dalla  loggia per il ricovero delle carrozze, dalle scuderie e dal giardino monumentale ottocentesco con specie botaniche ornamentali, separato da via Santa Maria da una siepe di ligustro ed una cancellata in ghisa dal raffinato disegno elaborato dall’architetto Tamanini (1870).

Nel dicembre del 1728 Lucrezia Saracini di Belfort e Molveno, vedova di Carlo Antonio Betta, acquistava dalla Comunità della Regola della Pieve di Lizzana il palazzo in San Tomaso che, affidato all’architetto cesareo Mauro Pernici non era stato ancora completato. La data 1730 presente nell’acciottolato dell’androne pare testimoniare la prosecuzione e l’ultimazione dei lavori di edificazione, culminati nella erezione dell’importante portale principale che non esclude l’intervento degli architetti Tacchi e nella costruzione di un altarolo marmoreo, sormontato dallo stemma Betta, collocato in facciata a sinistra dell’ingresso, opera dello scultore Domenico Sartori di Castione. Quest’ultimo elemento architettonico fu poi rimosso nel 1877 e trasferito nella cappella del cimitero di Lizzana.

L’interno, con la pianta di impronta tipicamente veneta con salone centrale passante, scalone e camere simmetricamente disposte sull’asse principale fu arricchito, a cura della famiglia, con stucchi eseguiti tra il 1730 e il 1735 da plasticatori lombardi probabilmente sotto la guida di Antonio Verda, con affreschi degli stessi anni aventi per tema il Trionfo della Giustizia e della Pace e il Trionfo delle Arti e da tele di Gasparantonio Baroni Cavalcabò e del cugino Giovanni.

Tra la fine del ’700 ed i primi del secolo successivo i Betta fecero arricchire il salone del piano nobile con colonne di marmo di Castione con un’architettura che riecheggia quella di grandi palazzi veneziani e con deliziose tempere, opera del pittore Giovanni di Dio Galvagni originario di Isera, che rappresentano episodi dell’Orlando Furioso, pieni di spunti naturalistici. Nel cortile interno una ampia loggia ad archi era destinata ad accogliere le carrozze.

Il palazzo e le sue pertinenze furono quindi acquistati nel 1899 dalla famiglia Grillo che ne rimase proprietaria fino al 2017, anno in cui l’ultima erede, Maria Angelica, ha donato la parte storica del compendio al Comune di Rovereto.

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Esplora l’eleganza e la storia del Palazzo

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Baroni 03 – Il serpente di bronzo – 3684 R
Baroni 06 – Le acque di Mèriba – 3670 R
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Baroni 06 – Le acque di Mèriba – 3670 R
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PALAZZO BETTA GRILLO

Via S. Maria, 66

38068 Rovereto (TN)

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